sabato 20 ottobre 2018

LA LINEA DEL MARETH - 26 FEBBRAIO 1943 - BATTAGLIA DI KESSERINE

La battaglia della Linea Mareth (Pàtron Editore S.r.l. Bologna) in effetti è stata sottovalutata e quasi dimenticata. Nessuno dei Paesi coinvolti ha prodotto nel tempo una congrua bibliografia sull’argomento.
Dopo la sconfitta di El Alamein ed il contemporaneo sbarco delle truppe alleate in Nord-Africa (operazione Torch), le forze italo-tedesche erano riparate in Tunisia. All'inizio di febbraio del 1943, le forze dell'Asse si erano attestate lungo la linea del Mareth, sul confine libico-tunisino.
Questa Maginot in miniatura era stata costruita dai francesi tra il 1936 ed il 1940, per proteggere la Tunisia dalle incursioni italiane: ora erano gli italiani ad utilizzarla per difendersi dalle forze nemiche.

Composta da alcune decine di casematte, in parte smantellate dopo l'armistizio italo-francese del 1940, questa linea si estendeva dal mare fino ai monti Matmata per circa 35 chilometri.
Messe giunse in Tunisia il 1 febbraio; la sua prima decisione riguardò la suddivisione delle forze in due Corpi d'Armata, il XX° agli ordini del generale Taddeo Orlando ed il XXI° agli ordini del generale Paolo Berardi.

Il 6 febbraio 1943, le forze italo-tedesche reduci dai combattimenti di El Alamein completarono il loro dispiegamento lungo il confine libico-tunisino dopo una lunga ed estenuante ritirata.

Le unità tedesche agli ordini di Messe comprendevano la 90a Leichte Division, la 164a Infanterie Division, la 15a Panzer Division e la Brigata paracadutisti Ramcke.

Le forze italiane comprendevano le divisioni Giovani Fascisti, Pistoia, Centauro, Trieste, e La Spezia.
Dopo aver raggiunto la linea del Mareth, con l'8a Armata inglese di Montgomery, a corto di fiato e di rifornimenti e quindi incapace temporaneamente di offendere, Rommel cercò subito la rivincita sulle forze alleate attaccando sul fronte occidentale tunisino.
Le intenzioni di Rommel prevedevano un attacco tra i due settori delle forze alleate, inglese ed americano, in direzione del colle di Kasserine: da lì proseguire verso ovest in direzione di Tebessa, dilagando nella pianura algerina ed accerchiando le truppe alleate che minacciavano la 5a Armata di von Arnim.
L'attacco prevedeva due movimenti da parte della 5a Armata di von Arnim (Operazione Frülingswind) in direzione di Sidi Bou Zid e Bir El Hafey e dell'Armata Corazzata Italo tedesca di Rommel (Operazione Morgenluft) in direzione di Gafsa. Von Arnim disponeva di circa 150 carri armati, Rommel solo di 50; entrambi avevano a disposizione una ventina di cannoni da 88mm.
Il 14 febbraio le unità corazzate di Rommel (10a e 21a Panzer Division) si lanciarono all'attacco travolgendo le avanzanti formazioni americane: nei pressi di Sidi Bou Zid, in poche ore vennero distrutti una cinquantina di carri statunitensi. Nel settore di Gafsa, le truppe americane del generale Robinett, dopo essersi ritirate su Feriana, il 15 febbraio contrattaccarono: bloccati prima dal potente fuoco di sbarramento dei cannoni da 88mm tedeschi e poi dai reparti corazzati, gli americani persero un altro centinaio di carri. A Gafsa finirono nella mani di Rommel circa 1.400 prigionieri americani.
Il 20 febbraio, i reparti della 10a e 15a Panzer Division conquistarono il passo di Kasserine, travolgendo le truppe americane a difesa della posizione.

 
 Nella disperata battaglia si distinsero per valore e combattività i bersaglieri del 7° Reggimento, impegnati in durissimi scontri corpo a corpo contro le truppe alleate: il colonello Bonfatti, comandante del reggimento, cadde in combattimento mentre guidava i suoi bersaglieri all'assalto delle posizioni nemiche.
Con la vittoria a portata di mano, all'ultimo momento venne a mancare l'apporto dei corazzati di Von Arnim, in particolare della 21a Panzer Division, che rimase in posizione arretrata. Le divergenze sui piani d'attacco tra Rommel e von Arnim, diedero agli alleati il tempo di riprendersi dal duro colpo. Senza più rifornimenti, con gli alleati che stavano facendo affluire nuove truppe nell'area, Rommel decise alla fine di ritirarsi per evitare l'annientamento delle sue già esigue forze.

Le forze alleate riconquistarono Kasserine il 25 febbraio; le loro perdite durante la battaglia erano state gravi: 10.000 morti (di cui solo 6.500 del 2° Corpo d'Armata americano) contro i soli 2.000 delle forze dell'Asse.


Ed è in questo giorno che Eros perde la vita. Era di Fidenza. Era il 26 febbraio 1943, venerdì. Il suo corpo non è mai ritornato ed i suoi cari lo ricordano con questa scritta sulla lapide " Da qui lontano in una ignota terra TU dormi il sonno degli eroi di guerra".
Oggi sappiamo in quale area ha combattuto, ma rimane ignoto dove sia sepolto.


Al 15 marzo 1943, la 1a Armata italiana agli ordini del generale Messe, era sempre schierata sulla linea del Mareth, con i seguenti reparti (dal mare verso l'interno):

XX° Corpo d'Armata (Gen. Orlando)
Divisione Giovani Fascisti (Gen. Sozzani)
Divisione Trieste (Gen. La Ferla)
90a Leichte Division (Gen. Sponeck)
XXI° Corpo d'Armata (Gen. Berardi)
Divisione La Spezia (Gen. Pizzolato)
Divisione Pistoia (Gen. Falugi)
164a Leichte Afrika Division (Gen. Liebenstein)

Raggruppamento sahariano (Gen. Mannerini)

Nel settore di Gafsa infine, era schierata la divisione corazzata Centauro (Gen. Calvi di Bergolo) con il 7° Reggimento bersaglieri.
Montgomery da parte sua schierava la sua 8a Armata, che comprendeva: il XXX° Corpo d'Armata, il X° Corpo d'Armata (1a e 7a divisione corazzata), il Corpo Neozelandese, l'8a Brigata corazzata ed il Raggruppamento francese di Leclerc.
Contro il settore di Gafsa, c'era il II° Corpo d'Armata americano del generale Patton.
A partire dal 16 marzo, le forze alleate ripresero l'iniziativa sia ad est che ad ovest: i reparti dell'8a Armata inglese tentarono di sfondare le difese del Mareth nel settore dello Uadi Zig-Zaou. Contro i 620 carri inglesi la 1a Armata italiana disponeva di soli 94 mezzi corazzati: malgrado l'inferiorità dei mezzi e degli uomini, i nostri soldati riuscirono a bloccare l'attacco del 30° Corpo britannico e ad annullare il tentativo della 50a divisione di stabilire una testa di ponte sull'Uadi Zigzaou.

Nello stesso tempo, l'offensiva del II° Corpo americano di Patton venne bloccato dai reparti della divisione corazzata italiana Centauro: i nostri carristi tennero testa ai corazzati americani per ben 12 giorni fino a quando non ricevettero l'appoggio della 21a Panzer Division. 

La Centauro lamentava perdite notevoli: con i pochi mezzi rimasti venne costituito il Raggruppamento Piscicelli che continuò a combattere fino alla capitolazione con la 10a Panzer Division. Nell'aprile del 1943, la divisione Centauro venne ufficialmente disciolta.
Anche il tentativo di separare l'Armata di Messe dalla 5a Armata tedesca con una forza mista (neozelandese, francese ed americana) venne bloccata ad El Hamma con gravissime perdite.
Le forze italo-tedesche mantennero le posizioni, contrattaccando quando fu possibile: una delle migliori battaglie difensive combattute in terra d'Africa.

Bollettino n.1031 del 22 marzo 1943
"In Tunisia, dopo intensa preparazione di artiglieria, il nemico ha iniziato ieri una violenta offensiva contro i settori centrale e meridionale del fronte. Aspri combattimenti sono in corso. L'aviazione dell'asse partecipa alla lotta battendo le retrovie avversarie e le colonne in movimento".

Le posizioni lungo il Mareth vennero conquistate dagli inglesi solo il 26 marzo, quando von Arnim e Messe decisero di far ripiegare i reparti sulla linea dell'Uadi Akarit, circa 15 chilometri a nord di Gabes: la manovra si effettuò lentamente, con i reparti impegnati a combattere ad oltranza, poi si accelerò per effetto dei terribili bombardamenti aerei alleati.
Migliaia di soldati italiani, rimasti senza mezzi di trasporto, finirono prigionieri degli alleati: lo stesso generale Pizzolato, comandante della divisione La Spezia, rimase ucciso durante un attacco dell'aviazione nemica.


Oggi esiste un piccolo museo che raccoglie quanto rimane di questa battaglia ed è visitabile dietro appuntamento. sta proprio sulla linea del Mareth, dove esistono ancora i bunker e le trincee.
 

giovedì 18 ottobre 2018

Motonave SINFRA - 18 ottobre 1943


Sono passati pochi giorni dalla firma dell'armistizio. I soldati italiani in Grecia sono fatti prigionieri ed internati, se non fucilati, proprio dagli stessi soldati che fino a poco tempo prima erano alleati, ora nemici. L'8 settembre 1943 si trovano in Grecia circa 80000 tedeschi del gruppo armate sudest, in nuclei di massicci distaccamenti motorizzati e gli italiani inquadrati nella XI armata italiana gen. Vecchiarelli, III CdA a Tebe div. Forli, Pinerolo, truppe Eubea (Bersaglieri); VIII CdA Cefalonia div. Acqui, Corfù Div. Casale; Sett.Corinto, Argolide Pelopponeso Div. Piemonte, Cagliari distaccate a unità tedesche
XXVI CdA a Giannina div. Modena, Brigata Lecce
Comando Egeo div. Cuneo (a Samo), Regina (Rodi e Castelrosso), Siena (a Creta).

Solamente chi rimaneva volontariamente inquadrato nei Volontari di Creta, veniva reintegrato. 
Tutti gli altri dovevano essere portati nei campi di concentramento, e ammassati nei porti.
Heraklion, Creta. Probabilmente per molti si prospettava la detsinazione ai campi di lavoro in regime di semilibertà. La motonave Sinfra, arriva nel porto per caricare tutto ciò che da giorni le truppe tedesche stanno ammassando. Materiale bellico, bombe di aereo, uomini, truppe, prigionieri e un piccolo gruppo di partigiani greci. Destinazione il Pireo. E da lì, poi il destino dei soldati italiani e dei partigiani sarebbe stato segnato.
La motonave Sinfra era una nave da carico senza cabine, varata nel maggio 1929 ad Oslo in Norvegia ed era lunga 122 metri e 17 di larghezza. L'armaento di difesa era costituito da due mitragliatrici, una a poppa e una a prua che fungevano da antiaerea.
Quella volta, uomini internati, truppe e materiali furono stipati nelle stive, mentre ai soli ufficiali fu permesso di rimanere sui ponti e di poter usufruire delle cabine che correvano da poppa a prua.
tutte le uscite o vie di possibile fuga erano presidiate da soldati tedeschi armati di mitragliatrice.
Quando la nave salpa con il suo carico umano e di armamento, il mare, sotto una luna piena, sembrava olio. Ognuno conosceva il pericolo di essere facilmente individuabili e vennero prese infinite precauzioni. ma alle 23.30 una sentinella mette in alalrme la nave : aerei nemici. All'orizzonte i testimoni supertiti, raccontano che si videro distintamente, quasi a pelo d'acqua. Squadroni di bombardieri B-25 della USAF e aereosiluranti Bristol Beaufighter della RAF che provenivano dal Nord Africa, presero di mira la nave.
E poi un grande fragore : una bomba attraverso la ciminiera esplode all'interno della nave, provocando danni e panico. Tutti cercano di scappare, ma non le sentinelle tedesche che iniziano ad aprire il fuoco su chiunque tentasse di salire dalle stive. Molti soldati a causa dell'esplosione rimasero intrappolati all'interno delle stive impossibilitati a salire a causa delle scale di accesso crollate o inutilizzabili.
La Sinfra era ferma, inclinata di dritta. Chi potè si buttò a mare o cercava scialuppe per allontanarsi da quella nave dal destino segnato. Intanto gli aerei compiuto un largo giro tornavano per assestare il colpo di grazia. Anche le sentinelle lasciarono finalmente la stiva lasciando ai prigionieri una piccola via di scampo. La nave colpita di nuovo lentamente veniva consumata dal fuoco, il calore arroventava ogni cosa.
Alle 2.30 il destino si compì. L'estremo calore raggiunse le bombe d'aereo che deflagrarono sventrando la nave ed il cui boato si udì a molti chilometri di distanza.
Solo il mattino successivo arrivarono alcuni pescherecchi greci, requisiti dai tedeschi, alla ricerca di naufraghi, subendo ancora un attacco inglese che distrusse un idrovolante tedesco.
I pescherecci con i naufraghi fecero rotta al porto di Cania dove ad attenderli c'erano truppe tedesche e mezzi pesanti per il loro trasferimento alle carceri vicine alla città. Gli ufficiali italiani invece vennero portati alla prigione di Panaghia e poi trasferiti al Pireo.
Le Cifre del Disastro
Le fonti che citano cifre stimate o presunte veritiere sono tante, compresi gli archivi italiani della Marina. Le fonti più attendibili vengono dallo storico Gerard Schreiber che ha potuto consultare gli archivi della marina tedesca incrociandoli con quelli della WH.
Numero delle vittime : 1850 tra internati e prigionieri greci
Superstiti :  539 tra internati e prigionieri greci
su un totale di 2389 uomini.
Tra loro anche il giovane Enea Craviari di Fidenza. 


Purtroppo il numero di prigionieri italiani e greci uccisi dalle sentinelle tedesche durante il tentativo di fuga dalle stive, rimane sconosciuto.


La posizione del Relitto
Il relitto della Sinfra si trova a 7 miglia dalla costa occidentale di Creta. Si pensa tuttavia che il relitto sia difficilmente riconoscibile a causa dell'esplosione