sabato 20 ottobre 2018

LA LINEA DEL MARETH - 26 FEBBRAIO 1943 - BATTAGLIA DI KESSERINE

La battaglia della Linea Mareth (Pàtron Editore S.r.l. Bologna) in effetti è stata sottovalutata e quasi dimenticata. Nessuno dei Paesi coinvolti ha prodotto nel tempo una congrua bibliografia sull’argomento.
Dopo la sconfitta di El Alamein ed il contemporaneo sbarco delle truppe alleate in Nord-Africa (operazione Torch), le forze italo-tedesche erano riparate in Tunisia. All'inizio di febbraio del 1943, le forze dell'Asse si erano attestate lungo la linea del Mareth, sul confine libico-tunisino.
Questa Maginot in miniatura era stata costruita dai francesi tra il 1936 ed il 1940, per proteggere la Tunisia dalle incursioni italiane: ora erano gli italiani ad utilizzarla per difendersi dalle forze nemiche.

Composta da alcune decine di casematte, in parte smantellate dopo l'armistizio italo-francese del 1940, questa linea si estendeva dal mare fino ai monti Matmata per circa 35 chilometri.
Messe giunse in Tunisia il 1 febbraio; la sua prima decisione riguardò la suddivisione delle forze in due Corpi d'Armata, il XX° agli ordini del generale Taddeo Orlando ed il XXI° agli ordini del generale Paolo Berardi.

Il 6 febbraio 1943, le forze italo-tedesche reduci dai combattimenti di El Alamein completarono il loro dispiegamento lungo il confine libico-tunisino dopo una lunga ed estenuante ritirata.

Le unità tedesche agli ordini di Messe comprendevano la 90a Leichte Division, la 164a Infanterie Division, la 15a Panzer Division e la Brigata paracadutisti Ramcke.

Le forze italiane comprendevano le divisioni Giovani Fascisti, Pistoia, Centauro, Trieste, e La Spezia.
Dopo aver raggiunto la linea del Mareth, con l'8a Armata inglese di Montgomery, a corto di fiato e di rifornimenti e quindi incapace temporaneamente di offendere, Rommel cercò subito la rivincita sulle forze alleate attaccando sul fronte occidentale tunisino.
Le intenzioni di Rommel prevedevano un attacco tra i due settori delle forze alleate, inglese ed americano, in direzione del colle di Kasserine: da lì proseguire verso ovest in direzione di Tebessa, dilagando nella pianura algerina ed accerchiando le truppe alleate che minacciavano la 5a Armata di von Arnim.
L'attacco prevedeva due movimenti da parte della 5a Armata di von Arnim (Operazione Frülingswind) in direzione di Sidi Bou Zid e Bir El Hafey e dell'Armata Corazzata Italo tedesca di Rommel (Operazione Morgenluft) in direzione di Gafsa. Von Arnim disponeva di circa 150 carri armati, Rommel solo di 50; entrambi avevano a disposizione una ventina di cannoni da 88mm.
Il 14 febbraio le unità corazzate di Rommel (10a e 21a Panzer Division) si lanciarono all'attacco travolgendo le avanzanti formazioni americane: nei pressi di Sidi Bou Zid, in poche ore vennero distrutti una cinquantina di carri statunitensi. Nel settore di Gafsa, le truppe americane del generale Robinett, dopo essersi ritirate su Feriana, il 15 febbraio contrattaccarono: bloccati prima dal potente fuoco di sbarramento dei cannoni da 88mm tedeschi e poi dai reparti corazzati, gli americani persero un altro centinaio di carri. A Gafsa finirono nella mani di Rommel circa 1.400 prigionieri americani.
Il 20 febbraio, i reparti della 10a e 15a Panzer Division conquistarono il passo di Kasserine, travolgendo le truppe americane a difesa della posizione.

 
 Nella disperata battaglia si distinsero per valore e combattività i bersaglieri del 7° Reggimento, impegnati in durissimi scontri corpo a corpo contro le truppe alleate: il colonello Bonfatti, comandante del reggimento, cadde in combattimento mentre guidava i suoi bersaglieri all'assalto delle posizioni nemiche.
Con la vittoria a portata di mano, all'ultimo momento venne a mancare l'apporto dei corazzati di Von Arnim, in particolare della 21a Panzer Division, che rimase in posizione arretrata. Le divergenze sui piani d'attacco tra Rommel e von Arnim, diedero agli alleati il tempo di riprendersi dal duro colpo. Senza più rifornimenti, con gli alleati che stavano facendo affluire nuove truppe nell'area, Rommel decise alla fine di ritirarsi per evitare l'annientamento delle sue già esigue forze.

Le forze alleate riconquistarono Kasserine il 25 febbraio; le loro perdite durante la battaglia erano state gravi: 10.000 morti (di cui solo 6.500 del 2° Corpo d'Armata americano) contro i soli 2.000 delle forze dell'Asse.


Ed è in questo giorno che Eros perde la vita. Era di Fidenza. Era il 26 febbraio 1943, venerdì. Il suo corpo non è mai ritornato ed i suoi cari lo ricordano con questa scritta sulla lapide " Da qui lontano in una ignota terra TU dormi il sonno degli eroi di guerra".
Oggi sappiamo in quale area ha combattuto, ma rimane ignoto dove sia sepolto.


Al 15 marzo 1943, la 1a Armata italiana agli ordini del generale Messe, era sempre schierata sulla linea del Mareth, con i seguenti reparti (dal mare verso l'interno):

XX° Corpo d'Armata (Gen. Orlando)
Divisione Giovani Fascisti (Gen. Sozzani)
Divisione Trieste (Gen. La Ferla)
90a Leichte Division (Gen. Sponeck)
XXI° Corpo d'Armata (Gen. Berardi)
Divisione La Spezia (Gen. Pizzolato)
Divisione Pistoia (Gen. Falugi)
164a Leichte Afrika Division (Gen. Liebenstein)

Raggruppamento sahariano (Gen. Mannerini)

Nel settore di Gafsa infine, era schierata la divisione corazzata Centauro (Gen. Calvi di Bergolo) con il 7° Reggimento bersaglieri.
Montgomery da parte sua schierava la sua 8a Armata, che comprendeva: il XXX° Corpo d'Armata, il X° Corpo d'Armata (1a e 7a divisione corazzata), il Corpo Neozelandese, l'8a Brigata corazzata ed il Raggruppamento francese di Leclerc.
Contro il settore di Gafsa, c'era il II° Corpo d'Armata americano del generale Patton.
A partire dal 16 marzo, le forze alleate ripresero l'iniziativa sia ad est che ad ovest: i reparti dell'8a Armata inglese tentarono di sfondare le difese del Mareth nel settore dello Uadi Zig-Zaou. Contro i 620 carri inglesi la 1a Armata italiana disponeva di soli 94 mezzi corazzati: malgrado l'inferiorità dei mezzi e degli uomini, i nostri soldati riuscirono a bloccare l'attacco del 30° Corpo britannico e ad annullare il tentativo della 50a divisione di stabilire una testa di ponte sull'Uadi Zigzaou.

Nello stesso tempo, l'offensiva del II° Corpo americano di Patton venne bloccato dai reparti della divisione corazzata italiana Centauro: i nostri carristi tennero testa ai corazzati americani per ben 12 giorni fino a quando non ricevettero l'appoggio della 21a Panzer Division. 

La Centauro lamentava perdite notevoli: con i pochi mezzi rimasti venne costituito il Raggruppamento Piscicelli che continuò a combattere fino alla capitolazione con la 10a Panzer Division. Nell'aprile del 1943, la divisione Centauro venne ufficialmente disciolta.
Anche il tentativo di separare l'Armata di Messe dalla 5a Armata tedesca con una forza mista (neozelandese, francese ed americana) venne bloccata ad El Hamma con gravissime perdite.
Le forze italo-tedesche mantennero le posizioni, contrattaccando quando fu possibile: una delle migliori battaglie difensive combattute in terra d'Africa.

Bollettino n.1031 del 22 marzo 1943
"In Tunisia, dopo intensa preparazione di artiglieria, il nemico ha iniziato ieri una violenta offensiva contro i settori centrale e meridionale del fronte. Aspri combattimenti sono in corso. L'aviazione dell'asse partecipa alla lotta battendo le retrovie avversarie e le colonne in movimento".

Le posizioni lungo il Mareth vennero conquistate dagli inglesi solo il 26 marzo, quando von Arnim e Messe decisero di far ripiegare i reparti sulla linea dell'Uadi Akarit, circa 15 chilometri a nord di Gabes: la manovra si effettuò lentamente, con i reparti impegnati a combattere ad oltranza, poi si accelerò per effetto dei terribili bombardamenti aerei alleati.
Migliaia di soldati italiani, rimasti senza mezzi di trasporto, finirono prigionieri degli alleati: lo stesso generale Pizzolato, comandante della divisione La Spezia, rimase ucciso durante un attacco dell'aviazione nemica.


Oggi esiste un piccolo museo che raccoglie quanto rimane di questa battaglia ed è visitabile dietro appuntamento. sta proprio sulla linea del Mareth, dove esistono ancora i bunker e le trincee.
 

giovedì 18 ottobre 2018

Motonave SINFRA - 18 ottobre 1943


Sono passati pochi giorni dalla firma dell'armistizio. I soldati italiani in Grecia sono fatti prigionieri ed internati, se non fucilati, proprio dagli stessi soldati che fino a poco tempo prima erano alleati, ora nemici. L'8 settembre 1943 si trovano in Grecia circa 80000 tedeschi del gruppo armate sudest, in nuclei di massicci distaccamenti motorizzati e gli italiani inquadrati nella XI armata italiana gen. Vecchiarelli, III CdA a Tebe div. Forli, Pinerolo, truppe Eubea (Bersaglieri); VIII CdA Cefalonia div. Acqui, Corfù Div. Casale; Sett.Corinto, Argolide Pelopponeso Div. Piemonte, Cagliari distaccate a unità tedesche
XXVI CdA a Giannina div. Modena, Brigata Lecce
Comando Egeo div. Cuneo (a Samo), Regina (Rodi e Castelrosso), Siena (a Creta).

Solamente chi rimaneva volontariamente inquadrato nei Volontari di Creta, veniva reintegrato. 
Tutti gli altri dovevano essere portati nei campi di concentramento, e ammassati nei porti.
Heraklion, Creta. Probabilmente per molti si prospettava la detsinazione ai campi di lavoro in regime di semilibertà. La motonave Sinfra, arriva nel porto per caricare tutto ciò che da giorni le truppe tedesche stanno ammassando. Materiale bellico, bombe di aereo, uomini, truppe, prigionieri e un piccolo gruppo di partigiani greci. Destinazione il Pireo. E da lì, poi il destino dei soldati italiani e dei partigiani sarebbe stato segnato.
La motonave Sinfra era una nave da carico senza cabine, varata nel maggio 1929 ad Oslo in Norvegia ed era lunga 122 metri e 17 di larghezza. L'armaento di difesa era costituito da due mitragliatrici, una a poppa e una a prua che fungevano da antiaerea.
Quella volta, uomini internati, truppe e materiali furono stipati nelle stive, mentre ai soli ufficiali fu permesso di rimanere sui ponti e di poter usufruire delle cabine che correvano da poppa a prua.
tutte le uscite o vie di possibile fuga erano presidiate da soldati tedeschi armati di mitragliatrice.
Quando la nave salpa con il suo carico umano e di armamento, il mare, sotto una luna piena, sembrava olio. Ognuno conosceva il pericolo di essere facilmente individuabili e vennero prese infinite precauzioni. ma alle 23.30 una sentinella mette in alalrme la nave : aerei nemici. All'orizzonte i testimoni supertiti, raccontano che si videro distintamente, quasi a pelo d'acqua. Squadroni di bombardieri B-25 della USAF e aereosiluranti Bristol Beaufighter della RAF che provenivano dal Nord Africa, presero di mira la nave.
E poi un grande fragore : una bomba attraverso la ciminiera esplode all'interno della nave, provocando danni e panico. Tutti cercano di scappare, ma non le sentinelle tedesche che iniziano ad aprire il fuoco su chiunque tentasse di salire dalle stive. Molti soldati a causa dell'esplosione rimasero intrappolati all'interno delle stive impossibilitati a salire a causa delle scale di accesso crollate o inutilizzabili.
La Sinfra era ferma, inclinata di dritta. Chi potè si buttò a mare o cercava scialuppe per allontanarsi da quella nave dal destino segnato. Intanto gli aerei compiuto un largo giro tornavano per assestare il colpo di grazia. Anche le sentinelle lasciarono finalmente la stiva lasciando ai prigionieri una piccola via di scampo. La nave colpita di nuovo lentamente veniva consumata dal fuoco, il calore arroventava ogni cosa.
Alle 2.30 il destino si compì. L'estremo calore raggiunse le bombe d'aereo che deflagrarono sventrando la nave ed il cui boato si udì a molti chilometri di distanza.
Solo il mattino successivo arrivarono alcuni pescherecchi greci, requisiti dai tedeschi, alla ricerca di naufraghi, subendo ancora un attacco inglese che distrusse un idrovolante tedesco.
I pescherecci con i naufraghi fecero rotta al porto di Cania dove ad attenderli c'erano truppe tedesche e mezzi pesanti per il loro trasferimento alle carceri vicine alla città. Gli ufficiali italiani invece vennero portati alla prigione di Panaghia e poi trasferiti al Pireo.
Le Cifre del Disastro
Le fonti che citano cifre stimate o presunte veritiere sono tante, compresi gli archivi italiani della Marina. Le fonti più attendibili vengono dallo storico Gerard Schreiber che ha potuto consultare gli archivi della marina tedesca incrociandoli con quelli della WH.
Numero delle vittime : 1850 tra internati e prigionieri greci
Superstiti :  539 tra internati e prigionieri greci
su un totale di 2389 uomini.
Tra loro anche il giovane Enea Craviari di Fidenza. 


Purtroppo il numero di prigionieri italiani e greci uccisi dalle sentinelle tedesche durante il tentativo di fuga dalle stive, rimane sconosciuto.


La posizione del Relitto
Il relitto della Sinfra si trova a 7 miglia dalla costa occidentale di Creta. Si pensa tuttavia che il relitto sia difficilmente riconoscibile a causa dell'esplosione



domenica 17 giugno 2018

17 Giugno 1940 - La Caccia Finale - Regio Smg. PROVANA

Regio Sommergibile "Provana "

17 Giugno 1940 - La Caccia Finale -

Il varo del Provana (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net

Il Sommergibile oceanico della classe Marcello (1060 tonnellate di dislocamento in superficie, 1313 in immersione). Era l’unico sommergibile della classe Marcello a non portare il nome di un Doge veneziano, bensì di un ammiraglio della flotta sabauda che partecipa alla battaglia di Lepanto il 01/10/1571.
Svolse una sola missione di guerra, percorrendo 1180 miglia in superficie e 214 in immersione.

Breve e parziale cronologia - Tratto dal blog " Con la pelle appesa a un chiodo" -
 ( http://conlapelleappesaaunchiodo.blogspot.com/2014/11/provana.html ) .

16 marzo 1938
Varo nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone.

Un’altra immagine del varo (da Alessandro Turrini, “Gli squali dell’Adriatico – Monfalcone e i suoi sommergibili nella storia navale italiana”, Vittorelli Edizioni, 1999, via Marcello Risolo e www.betasom.it)
  
25 giugno 1938
Entrata in servizio. Alle prove in mare è risultato l’unità più veloce della classe, toccando i 18,8 nodi in superficie e gli 8,5 in immersione.
Viene assegnato alla XXI Squadriglia Sommergibili (II Grupsom), avente base a Napoli e formata, oltre che dal Provana, dai gemelli Marcello, Dandolo e Nani (e della quale farà parte sino alla perdita).
Esercita intensa attività d’addestramento.

Il sommergibile in navigazione (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

La prima perdita del Mediterraneo

Pochi giorni prima che l’Italia entrasse nella seconda guerra mondiale, il 5 giugno 1940, il Provana, al comando del capitano di corvetta Ugo Botti, lasciò Napoli per raggiungere quello che con la dichiarazione di guerra sarebbe divenuto il proprio settore d’operazioni, situato a nord della costa africana (nella stessa zona, tra Cartagena e l’Algeria, erano stati inviati anche i sommergibili Dandolo, Marcello, Morosini e Faà di Bruno).
Non partì con il Provana un marinaio bergamasco, che si era infortunato. Il comandante Botti, essendo anche lui residente a Bergamo, gli affidò il proprio cagnolino, che non poteva portarsi dietro sul sommergibile, con l’incarico di riportarlo a Bergamo.
Il sommergibile rimase per oltre dieci giorni nel settore assegnato, iniziando, dall’atto della dichiarazione di guerra, l’agguato offensivo. Quanto segue fu appreso nel dopoguerra dalle fonti francesi, dal momento che dopo la partenza da Napoli il sommergibile non diede più notizia di sé.
Poco prima delle 16 del 17 giugno 1940, a circa 80 miglia da Orano, il Provana avvistò il convoglio francese «IR.2F», in navigazione da Orano a Marsiglia: lo componevano cinque mercantili (Mèdie II, Florida – capo convoglio –, Kita, Edéa e Djebel-Aurès), con la scorta degli avvisi Commandant Bory (capitano di corvetta Leblanc, caposcorta) e La Curieuse (capitano di corvetta E. M. J. Le Blanc, per coincidenza quasi omonimo del suo omologo sul Commandant Bory), il primo sul lato sinistro del convoglio, il secondo sul lato dritto. La visibilità era ottima ed il cielo sereno, c’era una leggera brezza forza 1 o 2 da nordest che increspava il mare. Il convoglio procedeva zigzagando a 13 nodi, con rotta verso nord.
L’unità italiana si portò all’attacco e, da 1800 metri di distanza, lanciò due siluri: le armi mancarono il bersaglio, ma uno passò a meno di 200 metri da La Curieuse.
A bordo dell’avviso il marinaio Rio, un pescatore della Vandea, di vedetta a poppa estrema, avvistò per primo “qualcosa sul mare”, a circa due quarti di poppa dritta, al traverso. Erano le 16.31. Rio lo fece notare a due ufficiali che erano seduti lì vicino intenti ad ammirare il mare, il tenente di vascello Jean Berthelot, comandante in seconda, e l’aspirante Baraton. Berthelot guardò ma non vide nulla, e disse a Rio di tranquillizzarsi, ma il marinaio insistette e l’ufficiale, guardando meglio, vide la scia di un siluro a 2000 o 3000 metri di distanza. Su ordine di Berthelot, Rio diede l’allarme «siluri di poppa dritta», ed il comandante Le Blanc ordinò subito «tutta a sinistra». La manovra permise alla nave di evitare di stretta misura di essere colpita: mentre il siluro precedentemente avvistato passò lontano e proseguì, durante la virata Berthelot ne vide un altro passare a pochi metri dal lato di dritta della nave, a poca profondità. La Curieuse diede l’allarme, fischiando ed issando la fiamma numero 1, e tutti i mercantili, avvistati i siluri (uno correva in superficie, saltando come una focena, mentre l’altro, diretto proprio verso uno dei mercantili, affondò prima di raggiungerlo), accostarono precipitosamente verso ovest, mentre il Commandant Bory virava decisamente nella direzione opposta, per dare la caccia, insieme a La Curieuse, al sommergibile. Alle 16.33 quest’ultimò issò il segnare «Je suis guide» (avrebbe cioè attaccato per primo) e suonò il posto di combattimento; da gli ufficiali riuscirono ad indovinare la scia lasciata dal secondo siluro tra le onde, ed una volta compreso questo risultò molto semplice individuare la direzione da dove era arrivato. L’avviso portò la velocità a 16 nodi: ora la scia del siluro brillava sulla superficie del mare, proprio davanti al timoniere, che poteva vederla benissimo. Il Commandant Bory aumentò la sua velocità da 13 a 20 nodi, ma era ancora lontano.
Risalendo la scia del siluro, con il sole alle spalle, La Curieuse giunse in un punto in cui questa s’intersecava, con un angolo molto acuto, con la scia del primo siluro. Sulla superficie era apparsa anche una caratteristica “bolla di lancio”, piatta, rotonda, leggermente oleosa, formata dalle bolle d’aria uscite dai tubi lanciasiluri del Provana al lancio del siluro (si trattava di un difetto diffuso, che dovette poi essere risolto con l’introduzione di un sistema di lancio “senza bolla”). Da ex assistente dell’addetto navale francese a Roma, il tenente di vascello Berthelot sapeva che i sommergibili italiani non avevano tubi lanciasiluri direzionali come i battelli francesi, quindi se il Provana aveva lanciato con i tubi di prua ed era proseguito La Curieuse lo aveva già oltrepassato, ma se aveva lanciato con i tubi di poppa doveva essere proprio a proravia dell’avviso. Alle 16.42 il comandante Le Blanc ordinò di iniziare il bombardamento con cariche di profondità. Gli scaricabombe lasciarono cadere in mare, ad un intervallo di sei secondi l’una dall’altra, otto bombe di profondità da 100 kg, regolate per scoppiare a 100 metri di profondità (l’ultima si bloccò e dovette essere liberata a martellate dal sottotenente di vascello Deblaye), mentre i lanciabombe ne lanciarono altre quattro, due contemporaneamente alla seconda degli scaricabombe e due contemporaneamente alla settima, regolate queste per 80 metri. In 42 secondi La Curieuse saturò dieci acri di mare con dodici violente esplosioni subacquee.
Nel frattempo, alle 16.39, anche il Commandant Bory, che procedeva a 20 nodi, aveva scaricato in mare la sua dose di bombe di profondità.
Le cariche di profondità, regolate per scoppiare a differenti quote, saturarono di esplosioni il mare attorno al sommergibile, ed il Provana, probabilmente danneggiato e con vie d’acqua nello scafo, si vide costretto a tentare di emergere per non affondare con tutto l’equipaggio: Botti era forse intenzionato a battersi in superficie con i cannoni.
A bordo de La Curieuse, che stava virando per tornare verso il Provana e gettare un’altra scarica di bombe di profondità, tutti gli uomini sul ponte gridarono indicando il periscopio del sommergibile che emergeva diritto a 800 metri al traverso a dritta. Il periscopio continuò lentamente ad innalzarsi nel cielo, poi uscì dall’acqua anche un secondo periscopio, seguito dalla torretta; infine il ponte di coperta ed i due cannoni.
Il Commandant Bory aprì subito il fuoco, ma era troppo vicino al Provana, ed il tiro del suo unico cannone, diretto dal sottotenente di vascello Pieters, risultò troppo lungo, cadendo oltre il sommergibile.
Il comandante de La Curieuse, lanciato a 20 nodi ed in posizione perfetta, decise di speronare il Provana, quindi diresse la prua sul battello italiano, che stava emergendo troppo lentamente, forse appesantito dall’acqua imbarcata. Vedendo La Curieuse avvicinarsi, il Commandant Bory cessò il fuoco.
Erano le 16.42. Per oltre un minuto il Provana rimase immobile in superficie, davanti a La Curieuse, senza che alcuna manovra fosse abbozzata, che qualcuno apparisse sul ponte di coperta che era ormai del tutto fuori dall’acqua.
Dieci secondi prima dell’impatto, una testa e delle spalle comparvero sopra il bordo della torretta del Provana. Qualcuno – forse il comandante Botti, ma è impossibile dirlo – era uscito in torretta: un uomo a capo scoperto, con una barba giovane ed appuntita, forse biondo. Sulle prime l’uomo non si avvide della presenza dell’avviso francese, guardando invece in direzione del convoglio. La mitragliera binata da 13,2 mm di prora dritta de La Curieuse, armata dal sottocapo (quartier-maître) Gillard, sparò una raffica troppo alta. L’uomo sulla torretta del Provana si voltò e vide la nave francese – ormai la distanza tra le due unità era di soli trenta metri –, poi Gillard fece nuovamente fuoco, stavolta centrando in pieno la torretta. L’uomo in torretta incrociò le braccia sopra la testa e scomparve, forse colpito, o forse soltanto gettatosi al riparo. Uno o due secondi più tardi, la prua della nave francese impattò contro lo scafo del sommergibile.
L’urto fu violentissimo: La Curieuse speronò il Provana tra la torretta ed il cannone poppiero, uno dei periscopi si piegò e si abbatté sul ponte dell’avviso francese, mentre l’attrito tra i due scafi sprigionava una pioggia di scintille. La torretta del Provana strisciò contro il lato di dritta della prua de La Curieuse, mentre la culatta del suo cannone aprì come un coltello uno squarcio sul lato sinistro della prua della nave nemica; quando la larghezza dell’avviso fu divenuta uguale alla distanza tra torretta e cannone, la chiglia cedette ed il Provana si spezzò in due. In pochi istanti il sommergibile s’inabissò con l’intero equipaggio (8 ufficiali e 54 tra sottufficiali, sottocapi e marinai) nel punto 37°00’ N e  00°11’ O, ad 83 miglia per 30° da Orano e 30 miglia a sud di Capo Palos. Il Commandant Bory passò subito dopo sul punto dell’affondamento, a poppavia de La Curieuse, e gettò in mare tre bombe di profondità da 35 kg, per fugare ogni dubbio sulla distruzione del sommergibile. Poi, si avvicinò a La Curieuse ed il suo comandante disse al megafono: «Ben fatto! Come va?», cui Le Blanc rispose «Spero di restare a galla».
Lo speronamento era stato infatti tutt’altro che privo di conseguenze per l’avviso francese: a prua l’urto con il Provana aveva aperto dei grossi squarci, attraverso cui l’acqua si riversava dentro la nave, che, immobilizzata, andava appruandosi minacciosamente. Si rese necessario evacuare ed isolare alcuni compartimenti, ed ammainare le lance come misura preventiva; La Curieuse imbarcò 150 tonnellate d’acqua, pari ad un quarto del proprio dislocamento, ma l’equipaggio riuscì alla fine a contenere gli allagamenti ed a ribilanciare la nave riempiendo alcune casse. Dopo una lunga navigazione a marcia indietro ed a soli 8 nodi di velocità, scortato dal Commandant Bory, La Curieuse raggiunse Orano, dove poté essere riparato. Durante la navigazione di rientro il tenente di vascello Berthelot si ritirò nella propria cabina, dove recitò un De Profundis per l’equipaggio italiano.
Il Provana fu il primo sommergibile italiano ad affondare in Mediterraneo in quella guerra (altri si erano già persi in Mar Rosso); l’unico ad essere affondato da unità francesi, dato che la nazione transalpina si sarebbe arresa all’Asse pochi giorni più tardi. Il Provana fu uno dei due soli sommergibili affondati dalla Marine Nationale nel corso di tutta la guerra (l’altro fu il tedesco U 55, affondato da unità francesi e britanniche in cooperazione il 30 gennaio 1940).
Il comandante Ugo Botti divenne il primo sommergibilista italiano a ricevere la Medaglia d’oro al Valor Militare – alla memoria – durante la seconda guerra mondiale.

Morirono con il Provana:

Antonio Albanese, comune
Filippo Amadei, comune
Giuseppe Amerise, comune, 21 anni, da Trebisacce
Giovanni Arena, sottocapo
Francesco Azzarelli, comune
Ciro Bali, comune
Arturo Bellati, capo di terza classe
Ugo Botti, capitano di corvetta (comandante), 36 anni, da Venezia (MOVM)
Giuseppe Bruno, comune
Giovanni Calabria, sergente
Antonio Caminiti, secondo capo
Giuseppe Cammuso, sottocapo
Ulisse Cattaneo, comune fuochista, 21 anni, da Colognola
Bruno Cerioni, secondo capo
Carlo Cesa, secondo capo
Angelo Ciol, comune
Silvio Costabile, sergente
Orazio Cucca, sottocapo
Bruno Cugini, comune
Alessandro Danese, capo di terza classe, da Verona (MBVM)
Gelmino Deambrogio, sottocapo
Alberto Della Monica, sottocapo
Umberto Del Prete, capo di terza classe
Gaetano De Martino, comune
Francesco Di Costanzo, comune
Angelo Di Meglio, comune
Giuseppe Favaloro, comune
Domenico Fazio, comune
Salvatore Ferrara, comune
Giovanni Ferrari, tenente del Genio Navale
Luigi Giardiello, sottocapo
Bruno Goso, comune
Giovanni Granata, tenente di vascello (comandante in seconda)
Francesco Laudadio, comune
Riccardo Leone, secondo capo
Mario Lepri, sottotenente del Genio Navale
Mario Limatola, comune
Ferdinando Losardo, guardiamarina
Ivo Marchi, sottocapo
Alberto Marinelli, comune
Giovanni Masneri, comune
Vincenzo Mauro, comune
Croce Messina, sottocapo
Arnaldo Miele, sottotenente di vascello
Procolo Mirabella, sergente
Vincenzo Mucci, comune
Sante Neroni, secondo capo
Leonardo Perini, sottocapo
Olimpio Piroli, secondo capo da Fidenza
Giuseppe Pischedda, capo di seconda classe
Costantino Prato, guardiamarina, da Mondovì (MBVM)
Giuseppe Riciputo, comune
Armistizio Rosini, comune
Vincenzo Santella, sottocapo
Mario Salvatore Sciacca, capitano del Genio Navale (direttore di macchina), 29 anni, da Patti
Guerrino Sebastianutti, sottocapo silurista (CGVM)
Giovanni Severino, secondo capo
Pasquale Spanu, secondo capo
Cesare Specos, comune
Vito Troisi, comune
Gaetano Verde, comune
Alberto Zilli, comune

Onore a loro.

La motivazione della Medaglia d’oro al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di corvetta Ugo Botti, nato a Venezia il 20 luglio 1903:
“Abile, sperimentato Comandante di sommergibile, curò in modo perfetto l'approntamento bellico della sua unità prodigandosi con le sue magnifiche doti di organizzatore.
Nel corso di una missione attaccava con risoluto ardimento un convoglio fortemente scortato da unità da guerra.
A seguito di violenta reazione nemica essendo il sommergibile colpito da bombe così gravemente da risultarne menomata l'integrità ed oltremodo difficile la permanenza in immersione, manovrava abilmente per venire in superficie ed affrontare l'avversario col cannone.
Constatato che le navi di scorta, insistendo tenacemente nel contrattacco, da brevissima distanza dirigevano per investirlo, riprendeva rapidamente l'immersione con indomita volontà di offendere ancora il nemico. Il sommergibile veniva però speronato ed egli vi trovava col suo equipaggio morte gloriosa.
Esempio di animo prode e di ammirevole spirito aggressivo anche dinanzi alle estreme decisioni.”

La motivazione della Medaglia di bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del guardiamarina Costantino Prato e del capo nocchiere di terza classe Alessandro Danese:
"Imbarcato su un sommergibile, partecipava all'attività offensiva della sua unità, apportando il contributo del suo animo elevato, della sua opera infaticabile. Nel corso di un ardimentoso attacco ad un convoglio nemico scortato immolava la propria vita in servizio della Patria"

La motivazione della Croce di Guerra al Valor Militare conferita alla memoria del sottocapo silurista Guerrino Sebastianutti:
"Imbarcato su un sommergibile, partecipava con alto spirito all'attività offensiva della sua unità. Nel corso di un ardimentoso attacco ad un convoglio nemico scortato, sacrificava la propria vita in servizio della Patria"




2° Com           Olimpio Piroli





lunedì 21 agosto 2017

24 Agosto 1942 - Isbuscenskij



Campagna di Russia, 24 agosto 1942

Isbuscenskij : l’ultima carica a cavallo.

 Il mondo sta accelerando. E la guerra, che del mondo è sempre stata un termometro precisissimo, cambia ancora più velocemente. Eppure, nell’era dei satelliti, dei missili e dei droni, c’è chi può dire di aver visto con i propri occhi la guerra dell’800, quella studiata da Carl von Clausewitz per il suo celebre trattato. 
l'unica foto originale della famosa carica.
Carlo Comello, ex agricoltore di Castelnovetto, piccolo centro della Lomellina quasi ai confini con il Piemonte, è stato testimone dell’ultima carica di cavalleria dell’esercito italiano, durante la campagna di Russia. Aveva allora 22 anni ed era inquadrato nel  3° Reggimento artiglieria Celere, 1° gruppo artiglieria a cavallo. Non solo: scattò l’unica fotografia originale esistente di quell’assalto. Era l’alba del 24 agosto 1942, nei pressi del villaggio di Izbuscenskij, poco lontano dal Don: quattro squadroni del reggimento Savoia Cavalleria, 700 uomini in tutto e i loro destrieri, si lanciarono nel combattimento e dispersero 2500 fanti siberiani armati di mitragliatrici e mortai.

Verso quota 213,5
Comello, quel giorno, come ricorda, "era guidare un autocarro per gli spostamenti di una pattuglia di osservazione e collegamento. Quel giorno rimasi in disparte, in un boschetto di betulle, dove avevo nascosto il mio Fiat Spa 38R, con a bordo una cassa di bombe a mano e cinque taniche di benzina. Per vedere cosa stava succedendo salii sul tetto della cabina. Con un piccolo cannocchiale, che avevo recuperato da un cannoncino anticarro russo fuori uso, vedevo passare a intervalli gli squadroni lanciati al galoppo contro le postazioni dei russi. Scavalcarono le loro trincee e arrivarono fino al Don, per fare poi dietrofront e colpirli alle spalle, mentre i Lancieri di Novara li attaccavano ai fianchi. Dopo circa sei ore di violenta carneficina il Savoia Cavalleria concludeva la sua ultima carica».

Colonnello Alessandro Bettoni Cazzago
I morti russi furono circa 300, oltre 200 i feriti e 500 i prigionieri. Tra gli italiani, riportano le fonti ufficiali, oltre alla perdita di 150 cavalli ci furono 33 caduti, compresi 3 ufficiali, e 53 feriti. 
Vennero concesse due medaglie d’oro alla memoria al maggiore Alberto Litta Modignani e al capitano Silvano Abba, due ordini militari di Savoia, 54 medaglie d’argento, 50 medaglie di bronzo, 49 croci di guerra e diverse promozioni sul campo per merito di guerra, oltre alla medaglia d’oro allo stendardo. 
Gli ufficiali tedeschi si congratularono con il colonnello Alessandro Bettoni, comandante del Savoia Cavalleria, dicendo: «Noi queste cose non le sappiamo più fare». 
Un riconoscimento del valore dei soldati, ma anche dell’arretratezza delle tecniche militari italiane, quando ormai si era alla vigilia della guerra atomica.
I giudizi dei militari nascono quasi sempre da considerazioni tecniche. II politico e lo storico giudicano ovviamente da un altro punto di vista. Così ha fatto recentemente Giorgio Bocca (v. bibliografia), che ha impugnato la definizione di Messe sostituendola con quella di «inutile carneficina». In realtà, la carica fu inutile solo se considerata nell'ambito di una guerra inutile. In questo senso, anzi, fu drammatica. Di per se stessa, però, servi a salvare un buon numero di sbandati della «Sforzesca» e degli uomini in armi presso Tschebotarewskij. Inoltre, considerando la proporzione delle forze, non fu neppure una carneficina: 39 morti in uno scontro tra seicento uomini contro duemila avversari. Il basso numero delle perdite è sempre stato un dato caratteristico delle cariche ben eseguite
Ma questo non toglie il valore epico dell'azione descritta in modo esemplare da Lucio Lami nel suo libro. Libro che invito chiunque a leggere per quattro motivi fondamentali : parla di Italiani, di cameratismo, di storia italiana e di solidarietà tra popoli nemici.

Superfluo dire che l'assalto ebbe in tutto il mondo una eco importante e imponente. e certamente la propaganda del tempo non si fece sfuggire l'occasione per sferzare gli italiani ad esserlo ancora di più.


 Per dovere di cronaca, anche se descritto nel libro di Lami, il neo nato Studio Luce inviò una rappresentanza di attori per riprodurre la famosa carica.
Ne venne fuori un filmato che niente ha a che vedere con la realtà dei fatti.

Invece da vedere anche su You Tube è il racconto documentario di un reduce di Milano che può dire " io c'ero".

Purtroppo vero è anche che da questo apice ci fu poi, solo la tremenda ritirata con migliaia di morti.


Al Reggimento, ricostituito nel dopoguerra, venne dato temporaneamente (nel 1950) il nome di «Gorizia Cavalleria», con un provvedimento tragicomico e antistorico. Il reparto fu poi trasferito (1957), dopo 46 anni di vita milanese, a Merano, non tanto per motivi logistici quanto per evitare - si disse allora da più parti - che al Circolo Ufficiali potessero ancora radunarsi, come accadeva nell'anteguerra, i più accesi monarchici di Milano.
Oggi il Savoia Cavalleria è stato inserito nell'organico della Folgore.
In questo modo, sostituendo cavalli come Albino con mezzi motorizzati, hanno mantenuto ciò che il motto sullo stemma evoca.
da così...
a nuovo inquadramento.
concessione del basco amaranto al Savoia Cavalleria
Il cavallo da guerra e reduce : Albino

Il sergente Cioffi, reduce della gloriosa carica
 Sin dalla fine della Seconda guerra mondiale, quella di Isbuscenskij fu considerata l'ultima carica di cavalleria della storia. Essa in effetti fu l'ultima azione risolutrice condotta, a cavallo, e con grande successo contro truppe regolari. Per rispetto alla cronologia va tuttavia ricordato il combattimento di Poloj (Croazia) avvenuto il 17 ottobre 1942. In quell'occasione, il reggimento «Cavalleggeri di Alessandria», che stava rientrando con una sezione del 1/23° reggimento artiglieria dai mulini di D. Karasi (sul fiume Korana), fu attaccato da formazioni partigiane ed accerchiato. Per aprirsi un varco, il reggimento caricò ripetutamente, a interi reparti. In una di queste cariche, effettuata dallo squadrone, dallo squadrone mitraglieri e dallo squadrone comando fu in testa lo stesso comandante, colonnello Aimone Cat, con al fianco l'alfiere e lo stendardo. Le perdite furono gravissime. Tra i decorati va ricordato il capitano Antonio Vinaccia M.O.V.M. (Cfr. Relazione ufficiale inviata al comando della divisione Celere «Eugenio di Savoia»).









mercoledì 24 maggio 2017

PILOTI FORMIDABILI 2 - UN TRAGICO MAGGIO 1944

25 MAGGIO 1944 - TENENTE SERGIO ORSOLAN


 "THURSDAY, 25 MAY 1944
 STRATEGIC OPERATIONS (Fifteenth Air Force):
340+ bombers attack targets in France and Italy; B-17s attack the
marshalling yard at Lyon, France; B-24s attack marshalling yards at Amberieux,
Toulon and Givors, France, and in Italy, the port area at Monfalcone, airfield
" Diavoli Rossi"
at Piancenza and industrial area at Porto Marghera; P-38s and P-51s fly 200+
sorties in support.
Tratto da "The 14th fighter group in World War II" di John W. Lambert :
testimonianza del Tenente Larry O'Toole, combattimento su Piacenza del 25/5/1944, scorta ai B-24 del 464th Bomb Group:
 

"...Circa nel momento in cui i bombardieri raggiunsero il bersaglio, incontrammo circa venticinque fra me109 e fw190. Sganciammo i serbatoi supplementari e picchiammo per attaccare. Improvvisamente guardai in alto a destra e vidi un paio di FW-190 venire giù verso di noi da ore 3 in alto. Sembrava fossero SEMPRE sopra di noi. Avvisai due volte dei due nemici e questo fu tutto quello che potei fare, prima che in pochi secondi si misero dietro di noi sparando.
C'era poco da fare: virai stretto verso di loro e aprii il fuoco con mitragliatrici e cannone. Uno dei nemici virò in fuori e giù, mentre gli altri continuarono nella mia direzione, e io nella loro. Vidi dei colpi a segno sul 190 mentre ci avvicinavamo quasi in rotta di collisione. Solo 40 piedi ci distanziavano quando ci incrociammo, in virata a 90 gradi cockpit contro cockpit. Ero stato tutto il tempo in cabrata, e appena passato, il mio aereo stallò completamente e caddi in spirale. Rimessomi dalla vite non vidi nesun altro aereo nemico, così mi misi alla ricerca del mio squadron. Improvvisamente vidi un 109 venire verso di me, poche centinaia di piedi più in alto. Cabrai sulla destra per tagliargli la strada e ottenni la mia prima vittoria. 
Tenente Sergio Orsolan
Non credo che il pilota nemico si sia accorto di me. Ricominciai a cercare il mio squadron, ma i miei problemi erano appena iniziati. Mi devo essere distratto, perchè improvvisamente fu come se stessi a sedere nel mezzo di centinaia di fili dell'alta tensione di rame luccicante. Erano pallotole traccianti. Quello che feci non fu molto logico, ma forse mi salvò la vita. Invece di virare violentemente, lascia cadere lentamente la mia ala sinistra, sperando che il pilota nemico pensasse di avermi colpito. Il fuoco cessò, e quando fui inclinato di circa 45 gradi, tirai sù nella più violenta e stretta virata cabrata che potevo fare, dando piena potenza. Ero sicuro che il P-38 poteva mantenere la virata senza stallare, non così l'altro aereo. Funzionò. Non vidi più l'aereo nemico. Denso fumo bianco usciva dal mio motore sinistro. Quando cercai di vedere nel retrovisore, fissato sul tettuccio, vidi che era stato strappato via. Misi in bandiera il motore fuori uso e mi misi in rotta verso casa, sperando i non incontrare altri tedeschi con un motore solo... Tornato alla base il mio aereo attirò una certa folla. Ognuna delle sei pale delle eliche era crivellata di buchi. Potevo infilare le mie dita nei buchi che costellavano le ali ai lati del tettuccio. Qualcuno mi tirò un tubo da otto pollici che si era appena staccato dalla sezione di coda. Sembrava fosse stato colpito da una cannonata.... il fumo bianco veniva dal liquido di raffreddamento..."
il 14th FG reclamò un totale di 8 abbattimenti, l'unica perdita fu il tenente Richard Fowler, visto paracadutarsi nelle vicinanze del Po, catturato e divenuto POW.

Tratto da "Ali nella Tragedia" di Giulio Lazzati
"I piloti del 2° gruppo, il 25 maggio avevano avuto uno scambio di idee piuttosto vivace nel cielo emiliano con grosse formazioni di Liberator scortati da Lightning (ma da dove sbucavano sempre tutti quegli aerei!). Quel giorno le squadriglie avevano attaccato con foga; dietro i comandanti di Squadriglia, Bellagambi e Drago (due Cannoni) erano Longhini, Pignatti, Forgantti, Feliciani, Marzi, Lucardi, Santuccio, Spigaglia, Fornari, Orsolan, Sprecher, Palermi, Filippi, Rosas, Brini, Giorio ed altri.
 
 Botte da orbi, prima contro i quadrimotori e poi contro i Lightning. Il combattimento dura da quasi un'ora, il decollo era avvenuto alle 13, ma l'autonomia è quella che è, e le munizioni sono finite, per cui i G.55 devono rientrare a Bresso."

Tratto dal diario storico del 455th Bomb Group
"Missione nr. 48, 25 maggio 1944
Inviati 37 B-24 a bombardare l'aeroporto di Piacenza, italia. Flak leggera, ma la caccia era molto aggressiva e spinse con forza i suoi attacchi. Uno dei nostri aerei fu colpito così gravemente da essere costretto a compiere un atterraggio forzato su una base inglese, con due dell'equipaggio gravemente feriti. Tutti gli altri aerei sono tornati alla base."
 Anche il 454th Bomb Group risulta aver partecipato alla missione su Piacenza
  IL PILOTA
    La vita di aviatore di Sergio Orsolan inizia nel gennaio 1940 alla scuola di volo di Grosseto, prosegue nell'Accademia Aeronautica di Caserta da cui esce sottotenente in SPE nel febbraio 1943, continua con la scuola caccia di Gorizia e l'assegnazione al 3° Gruppo autonomo CT dislocato in Sicilia.
    Il 3 marzo abbatte in combattimento un P. 38 "Lightning", lotta strenuamente alla difesa dell'isola invasa dal nemico e si ritrova nel settembre a Caselle torinese in attesa di ricostituire il suo reparto decimato e privo di aeroplani.
    Rientra a casa dopo molte peripezie, si presenta nell'ANR e viene assegnato al 2° Gruppo CT nella squadriglia del capitano Drago, dove ritrova i vecchi compagni della Sicilia e rinnovato entusiasmo per tornare a combattere. ( DAL 2° Gruppo CT, 5a Squadriglia "Diavoli Rossi"),
    Nella primavera del 1944 il reparto può considerarsi pronto a riprendere la lotta e il 25 maggio decolla su allarme da Cascina Vaga di Pavia con altri 9 G.55 per intercettare bombardieri scortati da caccia diretti dal mar Tirreno in Lombardia: sono B. 24 "Liberator" scortati dai soliti P. 38 già conosciuti in Sicilia.
    Il combattimento si accende ad oltre 5000 metri d'altezza, si fraziona in duelli e attacchi ai quadrimotori con l'abbattimento di un "Lightning" ad opera proprio di Orsolan, di un "Liberator" per attacchi di Feliciani e mitragliamenti agli altri aerei da parte di Drago, Fagiano, Mingozzi, Camerani, Luziani, Marin.
Pietra Parcellare - Bobbiano
    Nella mischia il "Centauro" di Orsolan rimaneva colpito e precipitava nei pressi di Travo/Bobbiano in provincia di Piacenza distruggendosi in frammenti così minuti da rendere particolarmente difficile la pietosa opera di recupero fatta da un fabbro del posto - Luigi Bozzarelli. Egli raccolse in una cassettina di legno pochi resti e la seppellì poco distante dal punto in cui era caduto l'aereo. Soltanto due anni più tardi, a guerra finita, fu possibile rintracciare con fatica la cassetta e consegnarla ai familiari per una cristiana sepoltura.  
Parte dei mille pezzi del G-55 recuperati il 14/08/2001
   
 La zona dello schianto dell'aereo è una zona tutt'ora impervia e collinare. La pietra Parcellare che sovrasta la zona è il promontorio tipico piacentino di pietra di ofiolite compatta e a scaglie, ornata da olmi e da quercia ( ora molti sono pini) che dalle pendici del promontorio degradano fino ad una strada di ghiaia bianca che divide la parte boschiva da quella lavorata.
Siamo al 25 maggio 1944. giornata luminosa e soleggiata. i campi sono a grano e vigne.
Il combattimento che sovrasta tutto questo sembra lontano. "Ad un tratto il rumore è più forte... " Lanzetti, un contadino ( così come mi racconta il testimone oculare) era con me sui quei campi prima di arrivare alla sua casa che è là, appena girata quella curva " lì c'erano i partigiani ma erano già andati via." all'osteria c'erano i mongoli ( Legione Turkestana delle SS ) e i bersaglieri ( Monterosa), che si preparavano per un rastrellamento. Si vedevano però correre perchè ad un tratto sono sbucati due aerei che sembrava si rincorressero. Uno aveva le stelle e uno no, ma era da un pò che si vedevano le striscie bianche in cielo. E sa cosa voleva dire? bombardamenti da qualche parte. I due aerei hanno girato largo verso la pietra Parcellare. Si vedeva che il primo cercava un punto per atterrare perchè scendeva sempre, quasi a toccare le piante. Alla fine ha girato ed è sparito ma poi ha puntato dritto su di noi perchè è sbucato dalla parte nascosta del campo tanto che ci siamo buttati a terra e ho sentito il calore e il vento dell'aereo. Un rumore infernale. Per fortuna non ci ha preso ma si è schiantato a metà costa, proprio in un canalone. Siamo scappati subito perchè i tedeschi hanno visto tutto e sono arrivati in gran fretta, anche se la zona era dei partigiani".
Proiettili 12,7 andati a segno...

Sergio, giovane eroe del cielo, moriva a 26 anni per una Italia che intendeva difendere. Uno Stato poi che10 anni più tardi, dimostrando indifferenza e ingratitudine vergognosa, concedeva ai familiari dello sfortunato pilota, una pensione di L. 10.000. 
Tanto valeva la vita di un aviatore.

   
"Chiedi infinito cielo d'ogni bellezza adorno, so che a chi doni l'ali, la vita chiedi in dono" 
scriveva quasi come un presagio Sergio Orsolan in una delle sue ultime poesie.